LA NASCITA E IL BATTESIMO

Alle prime avvisaglie del parto il marito correva ad avvertire la levatrice, in genere una donna esperta che aveva già fatto nascere “tutto il Paese”. Nel frattempo la suocera, in quel momento la padrona di casa, preparava ciò che occorreva per il parto: l’acqua calda, dei panni puliti di lino ed una preghiera particolare a S. Anna, protettrice delle gravide e dei nascituri.

Appena nato, per preservare il bambino dal malocchio, gli si toccavano i piedini con dei ferri arroventati, poi veniva vestito, senza dimenticare, però, di appoggiare sulla veste amuleti e simboli vari, in particolar modo l’immagine di S. Gabriele dell’Addolorata.

La culla dove riporre il neonato, la “ssciannila”, era un cestone di vimini. Di chiara origine araba, la sua fattezza riproduceva la barca, quasi a ricordare immagini legate ad antiche epopee, quali il ritrovamento di Romolo e Remo sulle rive del Tevere o addirittura quello biblico di Mosè salvato dalle acque del Nilo.

Le “sscianne”, erano un particolare tipo di culla. Incernierate a due sostegni e legate da un lato ad una cordicella che la donna si portava appresso per tutta la cucina, era possibile farle oscillare anche a distanza con un movimento minimo del braccio: al primo vagito la mamma tirava la cordicella ed il bambino, grazie al dondolio, si calmava e ricominciava a dormire. Durante il periodo del parto e del puerpuerio, la suocera assumeva la direzione della casa e ne diventava la diretta responsabile, fino a quando l’equilibrio dei poteri non si fosse ricomposto con l’arrivo della mamma della partoriente. Costei, però, per rispettare le tradizioni, doveva preannunciare il suo arrivo con due galline ed una canestra con uova, pane, riso, orzo e camomilla per il bambino. Inoltre, spettava a lei l’onore e l’onere di regalare al nascituro una catenina d’oro se maschio o due orecchini di corallo se femmina.

Seguiva poi la visita di tutti i parenti, che venivano regolarmente ospitati con felicità. Appena possibile la partoriente avrebbe ricambiato la visita con il bambino in braccio. Se durante i primi giorni il nascituro andava incontro a disturbi e malattie, si ricorreva all’intercessione dei Santi: San Donato per le convulsioni, San Francesco per la difterite ed in particolare per la protezione contro la poliomielite e, alla Madonna dei Miracoli, per la comparsa di uno storpio in casa. La tradizione abruzzese considerava una fortuna nascere in prossimità della festa del Santo patrono del paese: si poteva così far coincidere il giorno del battesimo con quello della festa.

Per la cerimonia, era consuetudine avviarsi alla chiesa in piccola processione: un parente reggeva il bimbo, con la testina appoggiata al braccio sinistro se femmina, al braccio destro se maschio, seguiva il padre con un telo di lino che sarebbe servito poi ad asciugare il battezzato dall’acqua benedetta, ed infine i vari invitati. Durante la cerimonia, accanto al padre, c’erano anche il compare e la comare, incaricati di reggere un cero acceso.

Era tradizione che il nome del battezzando rinnovasse quello di un parente, in genere il nonno o la nonna, oppure quello del santo celebrato il giorno della nascita.