IL FIDANZAMENTO

Dove incontrarsi, per gli innamorati di un piccolo paese di provincia, era a volte un vero e proprio problema. Spesso si dovevano attendere pazientemente i tempi opportuni: la mietitura, la vendemmia, oppure cogliere l’occasione di andare alla fontana a prendere l’acqua, o approfittare, per i più fortunati, di un ballo paesano o della festa del Santo patrono.

La processione e la festa erano infatti un momento per esibire le scarpe nuove o il vestito appena confezionato dalla sarta, lanciare sguardi fugaci, suscitare i primi interessi, rispondere agli ammiccamenti.

Ne seguiva una serenata a cui la bella rispondeva semplicemente con l’accensione o lo spegnimento di un lume, mentre in casa, le urla del padre e della madre, facevano capire agli astanti ed ai suonatori fuori, quanto la famiglia tenesse alla giovane e che, per questo, non doveva essere ritenuta una facile preda nè essere presa in giro da alcuno. La dichiarazione d’amore era sempre fatta dal giovane, che, sicuro dell’amore della propria fidanzata, la richiedeva ai genitori.

In seguito si concordava, con la mediazione di un “ambasciatore” l’entità della dote, che generalmente consisteva nell’acquisto della mobilia per la camera da letto e, in caso di un certo agio della famiglia di origine, nell’apporto di un certo numero di capi di bestiame.

Il contratto di matrimonio vero e proprio era invece stipulato dal padre e dal fratello della sposa, che, a casa dello sposo, si accordavano sulla compera dell’oro, della lana dei materassi, delle scarpe, delle calze e di altro ancora. Un particolare rilievo assumeva il rituale del trasporto della dote dalla casa della sposa a quella dello sposo.

Per il trasferimento dei beni, che di norma avveniva alcuni giorni prima dello sposalizio, si usava il “carro delle nozze”, mentre la suocera, da vera padrona di casa, attendeva la giovane con il corredo sulla soglia di casa, stringendo nella mano delle galline. Da queste avrebbe infatti tratto il brodo da offrire poi a pranzo ai portatori del carro.