LA MALATTIA

La malattia poteva essere preannunciata dal canto di una gallina che non riesce a fare le uova, dal guaito di un cane, ma soprattutto dal canto di una civetta.

Se qualcuno della famiglia, a seguito di questi presagi si fosse ammalato, era d’uopo ricorrere all’intervento della “magara”.

La “magara”, con alcuni indumenti del malato portati dai parenti, recitava degli scongiuri e si informava se nella casa vi fossero elementi cagione di malattia, ad esempio un gatto dagli occhi lucenti vicino al letto del malato.

Dopo essere stata informata di tutto, la “magara”, generalmente con l’aiuto di altre due persone, allo scoccare della mezzanotte batteva gli indumenti consegnatigli, che successivamente il malato, per guarire, avrebbe dovuto indossare per tre giorni di seguito.

Se però in quei giorni si fossero ripetuti i segni premonitori della malattia, quali il passaggio di un gatto nero o il canto della civetta, il rito non avrebbe avuto l’esito sperato ed il malato non sarebbe guarito.

Molto più semplici i rituali per piccoli malanni comuni, quali il torcicollo o l’emicrania, dove in genere potevano essere sufficienti alcuni scongiuri.

Per curare il torcicollo, ad esempio, la “magara” si limitava a toccava la parte dolente recitando questa formula: “Tutti i giorni vien Natale, martedì viene carnevale, di domenica viene Pasqua, la corda del collo in terra casca”.

Per il mal di testa, invece, che se continuo si riteneva dovuto all’invidia di qualcuno, chi ne era affetto durante la Messa della notte di Natale doveva proferire questo scongiuro: “Tre occhi t’hanno invidiato, tre Santi t’hanno baciato, in nome di Dio e di Santa Maria l’invidia se ne va via. In nome di Dio e di tutti i Santi, l’invidia se ne va avanti”.

Altre forme del dire riguardavano la resipela, i dolori reumatici ed altro ancora. Per le piaghe, il 16 agosto ci si rivolgeva a San Rocco protettore.