LA MORTE

All’approssimarsi del momento del trapasso, i familiari si preoccupavano di avvisare il parroco del paese, affinchè questi potesse dare l’estrema unzione e recitare il rosario insieme al morente prima del fatal sospiro.

Tutta la casa veniva preparata all’evento funebre: una finestra socchiusa, per permettere all’anima di uscire più facilmente, ed una porta aperta, affinchè parenti e conoscenti potessero entrare e portare il loro ultimo ossequio.

Il defunto veniva vestito con l’abito migliore, tra le mani gli veniva posta la corona del rosario, sul petto una croce ed in tasca alcuni soldi, quale compenso per Caronte nell’attraversamento del fiume delle anime.

Fino a quando il defunto non abbandonava la propria dimora, in quella casa non si poteva nè pulire, nè cucinare. Erano i parenti ed i vicini a portare ai veglianti, per il loro sostentamento, quello che veniva definito “il consolo”, in genere un piatto di pasta, del pollo ed un po’ di vino.

Ai piedi del capezzale i presenti ricordavano i meriti e le virtù del defunto, in una soffusione di lamenti che continuava per tutta la veglia notturna, veglia che poteva assumere, con lo scorrere delle ore, e senza per questo significare una mancanza di rispetto nei confronti del defunto, caratteristiche diverse, passando talvolta dalle preghiere al chiaccherio e perfino al sorriso nel ricordo di episodi lontani.

La mattina, al levar del sole, il defunto veniva collocato nella bara e di lì a poco sarebbe iniziata la cerimonia funebre vera e propria. Dopo aver seguito il feretro fino al camposanto per la sepoltura, al ritorno a casa era usanza, per “rinfrescare l’anima del morto”, lavarsi le mani e, nella casa del defunto, anche panni, lenzuola e materassi.

Era credenza che i defunti non abbandonassero per sempre la propria casa e che vi avrebbero fatto ritorno la sera del 2 novembre. Per questo, in segno di rispetto e di ospitalità, era necessario fargli trovare una tavola imbandita e cucinare il loro piatto preferito.